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La professione del Cameriere, quale futuro?

Un ristorante non è solo cucina, metà lo fa la sala.




È sempre più difficile trovare camerieri. E il motivo, oltre il dibattito che periodicamente si apre sui compensi, sta forse in due parole: dignità e rispetto.


Tutti i lavori hanno dignità e meritano rispetto: un presupposto che sembra scontato, oltre che fondamentale, in ogni società, ma che purtroppo, negli ultimi anni, non lo è più. 


Con rammarico, sto notando che proprio il lavoro del cameriere è uno di quelli che maggiormente subisce questo pregiudizio ed è spesso visto come un lavoro secondario, se non addirittura di ripiego.

 

Come siamo arrivati a questo? 


La fonte principale di questa percezione distorta avviene in primis attraverso i media: da Masterchef a tanti altri format televisivi incentrati sul settore "food", si dà risalto alla cucina ed al cibo, associati all'estro creativo ed imprenditoriale e a come questi siano decisivi per il successo nel mondo della ristorazione. Questo è in parte vero, ma un ristorante è una realtà ben più complessa, in cui il mangiar bene è solo "la punta dell'iceberg": senza un buon servizio di sala, infatti, un ristorante ha vita breve.

Ecco che entra in gioco il cameriere, figura professionale indispensabile per portare avanti l'attività, ma sempre più bistrattata. Le sue mansioni sono sovente ritenute semplici e di poco conto, per non dire degradanti. 

Fare il cameriere viene associato da molti ad un lavoretto di ripiego da praticare in gioventù (sebbene questa idea sia ormai da considerarsi superata, dato che sempre meno giovani e studenti lo fanno), per arrotondare ed avere un primo contatto con il mondo del lavoro, finché non si trova "un lavoro vero", come se questo non lo fosse. 

Ma la percezione comune è anche che "cameriere" sia sinonimo di "semplice", perchè portare piatti e bicchieri, "lo possono far tutti senza studiare".  

Infine, umiliante, in quanto assimilato ad un servitore, pronto a soddisfare il cliente in ogni sua esigenza e capriccio. Il risultato è che oggigiorno il cameriere si trova a dover subire giudizi, insulti, lamentele ingiustificate e richieste oltremodo bizzarre. 

Uscire per un momento conviviale al bar o al ristorante si è trasformato in un perenne show televisivo, in cui tutti si sentono auto-investiti del ruolo di enogastronomi improvvisati e di "tuttologi": le telecamere sono gli smartphone, pronti a scattare foto di ogni piatto e ad emettere recensioni non sempre lusinghiere. 

Potrà sembrare un po' forte, ma in fondo non lo è: stiamo di fatto tornando nell'era delle classi sociali, dove ciò che sei è il lavoro che fai.


Una considerazione sorge però spontanea, perché dovrebbe sentirsi così "inferiore" il cameriere? In fin dei conti il suo lavoro è ben più articolato e complesso di ciò che si pensa e non è alla portata di tutti. 

È un lavoro in cui i sacrifici non sono pochi, come, del resto, anche in molti altri impieghi. Un aspetto che lo rende particolarmente impopolare è il fatto di lavorare quando gli altri riposano o si godono il proprio tempo libero, il più delle volte nel fine settimana o alla sera. 

Un mito da sfatare è che il cameriere non porta solo "piatti e bicchieri", ma contribuisce alla gestione stessa del ristorante. Per diventare professionisti di questo settore è d'obbligo studiare in modo approfondito di cucina, di materie prime, di vino, di storia, di geografia e di economia, perché quando si è davanti al cliente è fondamentale essere preparati su tutto. 

Da ristoratore io stesso, quando vedo camerieri al limite della pensione o anche oltre, mi emoziono: sono contenti, fieri, seri, professionali, veloci e i clienti li amano. Posso affermare con certezza che sono punti di riferimento più importanti dello chef o persino del titolare dall'attività. Sono in grado di interfacciarsi con tutte le tipologie di clienti e sono eleganti, sanno ascoltare, ma senza essere invadenti. 

Il cameriere ha il potere di rendere unico e stupendo un momento passato al ristorante, è capace di ribaltare la situazione se qualcosa va storto in cucina, ma è anche "psicologo", seppur improvvisato: ascolta i problemi di tutti e si sente soddisfatto quando riesce a far felici i clienti. È proprio questa soddisfazione che dà giusto scopo alla fatica di questo lavoro.  

Le sfide, peraltro, non mancano: bisogna sopportare il clima teso quando il locale è pieno, ma anche rimanere concentrati e ricordare le disposizioni dei tavoli, insieme alle portate e a tutte le richieste per coccolare il cliente.

Di una cosa non si tiene mai conto: per avere bravi camerieri e diventare camerieri di professione, ci devono essere anche bravi clienti, che sappiano rispettare il lavoro e la persona altrui e che non riversino problemi e frustrazioni sul prossimo.

Rispettare il cameriere o, più in senso lato la persona ed il lavoro altrui, significa, pertanto, rispettare la società in cui viviamo. Colui che sta “servendo” merita il giusto riconoscimento, in quanto sta facendo un servizio all’altro. 

Per avviare un cambiamento positivo dobbiamo tornare al nostro assunto di partenza: ogni lavoro è dignitoso, compreso quello del cameriere, anche se lo si fa come secondo o terzo lavoro. 

La crisi del cameriere è sintomo della crisi della società, ritorniamo a formare nuovi bravi camerieri, per cambiare e migliorare la comunità in cui viviamo.



Dino Barbieri






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